Impronta di carbonio: confronto tra la produzione di un vino biodinamico e biologico

Nel mondo del vino e dell’agricoltura in genere, la sostenibilità ambientale sta diventando sempre più un tema centrale e di forte preoccupazione, percepito in particolare dalle generazioni più giovani, ma non solo da quelle. Parlando di sostenibilità, non possiamo non menzionare anche l’impronta di carbonio.
L’impronta di carbonio è lo strumento che ci consente di individuare quelle aree dove è possibile ridurre le emissioni, al fine di promuovere una maggiore responsabilità ambientale.

La nostra azienda agricola Giovanni Menti, insieme ad altre tre cantine biologiche e biodinamiche situate tra Veneto e Friuli Venezia Giulia, nel 2018 è stata oggetto di studio per una tesi di laurea condotta dallo studente dell’Università di Padova A.Z.
Lo scopo principale dello studio era confrontare le performance ambientali della conduzione biodinamica rispetto a quella biologica attraverso l’Analisi del Ciclo di Vita, conosciuto anche come Life Cycle Assesstment (LCA). Infatti, prima di allora, esistevano diversi studi comparativi relativi all’impronta di carbonio fra aziende agricole convenzionali ed aziende agricole biologiche, ma ancora nessuno studio che comparasse gli effetti delle aziende biologiche a quelle biodinamiche.
Questo studio è stato condotto su un singolo vino selezionato per ognuna delle quattro cantine, tramite la raccolta diretta di dati in merito a fertilizzanti organici, preparazioni biodinamiche, consumo di carburante e di energia elettrica, rifiuti prodotti, materiale utilizzato sia per la composizione del packaging che per la costruzione e la gestione del vigneto.
Il risultato della ricerca ha determinato che il vino prodotto da Menti (nel caso dello studio, il frizzante Roncaie sui Lieviti) si è dimostrato il meno rimarchevole in tutte e 18  le categorie di impatto considerate, quali per esempio cambiamento climatico, consumo di acqua, eutrofizzazione, eco-tossicità terrestre e acquatica.
Lo studio, di tipo cradle to grave (letteralmente “dalla culla al cancello”), ha preso in analisi tutte le fasi produttive del ciclo di vita del vino, a partire dalla produzione di uva, materie prime e di energia, al trasporto, alla vinificazione, fino all’imbottigliamento, escludendo le fasi di post produzione (trasporto, vendita, consumo…).
Questo successo è stato attribuito principalmente all’adozione di pratiche biodinamiche, che riducono notevolmente gli input di chimica ed energia, e all’alta resa produttiva del vigneto, unite ad un occhio da sempre attento da parte del produttore Stefano Menti all’utilizzo di bottiglie leggere, etichette in carta riciclata e chiusure riciclabili di basso impatto produttivo.
Impronta di carbonio

Qual è la fase più critica nel ciclo di vita del vino?

Il packaging, che contribuisce in media all’85% per ognuna delle 18 categorie d’impatto.

Sorprendentemente infatti, considerati tutti gli elementi che riguardano il ciclo di vita del vino, la produzione delle bottiglie di vetro si è rivelata la fase più impattante.

La produzione di articoli in vetro è un processo che contribuisce fortemente all’intera impronta energetica rilasciata al pianeta nella produzione del bene, quindi la bottiglia nel momento in cui è pronta per essere spedita e venduta.

Numerose ricerche dimostrano come l’adozione di bottiglie più leggere possa contribuire notevolmente a ridurre l’impronta ambientale di un vino nella sua fase di commercializzazione e trasporto.

Noi del team Menti, al momento di questo studio, avevamo già scelto di minimizzare quanto più possibile l’impatto grazie all’utilizzo di una bottiglia di soli 415 grammi: un recipiente ben più leggero rispetto alla media di quelle reperibili in commercio per i vini frizzanti. Mettendo in luce invece uno dei nostri vini fermi, l’impronta sarebbe stata ancora minore, in quanto i vigneti da dove provengono i vini fermi sono attigui all’azienda e quindi necessitano di minore movimenti logistici. Inoltre, le nostre bottiglie per i vini fermi, hanno un peso che varia dai 350 ai 360 grammi.

A seguire, come seconda e terza fase più impattanti per l’ambiente, sono state evidenziate l’insieme dei processi che prevedono l’uso di macchinari agricoli, l’utilizzo di fertilizzanti (seppur naturali), ed i materiali scelti per la costituzione dell’impianto del vigneto.

Con i risultati di questo studio, possiamo confermare quanto l’adozione della viticoltura biodinamica si dimostrati di fondamentale importanza per ridurre gli impatti ambientali. Limitando l’uso di fertilizzanti e composti chimici, nella nostra azienda agricola Menti siamo stati in grado di raggiungere un’impronta ambientale significativamente inferiore rispetto alla produzione convenzionale e anche biologica.
Da questa ricerca inoltre, è emerso che nella sola fase della viticoltura i nostri impatti ambientali sono in media il 66% più bassi rispetto al campione di vino biologico prodotto in Veneto che per coerenza del ricercatore, era anch’esso stato scelto a Gambellara.

Concludiamo questo articolo condividendo un pensiero in cui crediamo fortemente e a cui si lega anche il nostro PERCHÈ: lavoriamo e operiamo in questo modo perchè vogliamo lasciare un mondo migliore di quello che abbiamo ereditato dai nostri genitori. Per questo motivo, secondo noi le cantine e aziende agricole hanno e avranno un ruolo sempre più cruciale nell’ambito di leadership e di esempio, con l’obiettivo di produrre un vino e/o un prodotto agricolo quanto più sostenibile per noi e il nostro pianeta.

Fonti e dati:  https://www.mdpi.com/2071-1050/14/10/6281

agricoltura, biodinamica, impronta carbonio, sostenibilità

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