Il metodo di appassimento del Picaio Vicentino

Nel nostro ultimo articolo abbiamo parlato dei vari metodi utilizzati dai vignaioli per l’appassimento dell’uva. Tra questi, abbiamo menzionato anche la tecnica dell’appassimento naturale con la disposizione verticale delle uve. 

Oggi ci dedicheremo proprio a quest’ultima e ti presenteremo il tradizionale metodo del Picaio Vicentino che noi di Menti adottiamo da quattro generazioni nella nostra cantina di Gambellara

 

L’appassimento del Picaio Vicentino: il processo

Ben 10.500 kg di grappoli di uva Garganega vengono appesi uno a uno ogni anno verso la fine dell’estate all’interno della nostra antica Torre del ’700. Lì restano a riposare o, per meglio dire, ad appassire, per un periodo che va dai 4 ai 6 mesi, in base all’andamento della stagione invernale.

Tutto ha inizio nei nostri vigneti di Gambellara con la prima vendemmia della Garganega, un’uva tipica della nostra zona che presenta una buccia spessa e un grappolo spargolo

Durante la raccolta, le mani abili dei nostri vignaioli selezionano solo le uve migliori in termini di qualità. Questa scelta è fatta per due motivi principali:

  1. Il rapporto zuccheri-acidità, che deve risultare ben bilanciato;
  2. La sanità della buccia, per permettere ai grappoli di appassire senza rischiare di sviluppare muffe dannose. 

Dopo essere stati intrecciati a mano con della gavetta, i grappoli vengono appesi alle travi del primo e del secondo piano della Torre. A operazione di fissaggio conclusa, si potranno finalmente ammirare le migliaia di grappoli d’uva che pendono dal soffitto e che, con l’avanzare delle settimane, tra la fine di agosto e il periodo invernale, si evolvono sia dal punto di vista estetico che a livello di note sensoriali percepite nella stanza.

Sul pavimento del secondo piano sono adagiati anche i caratelli artigianali di rovere non tostato, destinati alla fermentazione e all’affinamento di Vin De Granaro: un vino balsamico che affina e fermenta per anni, seguendo la temperatura del cambio delle stagioni.

L’appassimento dell’uva contribuisce alla produzione di diversi dei nostri vini, come Roncaie e Omomorto per i quali avviene una seconda fermentazione in bottiglia innescata grazie all’aggiunta del mosto passito, e Dolce della Tradizione che nasce da uve passite in purezza.

Ad appassimento terminato, le uve presenteranno gradazioni zuccherine altissime, nessuna traccia di tossine e grandi aromi. A questo punto, si potrà procedere con la spremitura.

 

I benefici della disposizione verticale nell’appassimento del Picaio Vicentino

La disposizione verticale comporta diversi benefici. Scopriamoli di seguito:

  1. Le uve, non poggiando su alcuna superficie, risentono meno dell’effetto della rugiada e di conseguenza si evita la formazione di muffe anomale che potrebbero compromettere l’intero grappolo; 
  2. I grappoli subiscono la perdita di eventuali marcescenze acide grazie all’effetto della selezione gravitazionale, lasciando così solo la parte più buona e integra dell’uva; 
  3. La stanza dell’appassimento è ben ventilata e arieggiata: questo comporta un’asciugatura dell’uva mediamente veloce, influenzata anche dalle condizioni meteorologiche e dalle temperature esterne.

 

Gli altri ruoli svolti dalla Torre d’appassimento

La nostra Torre del ‘700 viene utilizzata anche per altri scopi che vanno oltre l’appassimento delle uve. 

Il piano terra, raggiungibile attraverso le ripide scale, funge da garage per le attrezzature agricole dei Barbaboyz.

Il piano interrato dell’edificio, invece, nel corso del tempo ha ricoperto varie funzioni:

  • Prima che l’elettricità raggiungesse le nostre case, fungeva da stanza di conservazione del cibo. Una finestrella a livello strada, infatti, permetteva alla neve di oltrepassare il muro, rendendo la temperatura dell’aria molto bassa. I muri in pietra vulcanica contribuivano a mantenere temperatura e umidità a un livello tale da trasformare la stanza interrata in un frigo naturale (una ghiacciaia) per tutto l’anno;
  • Oggi questo piano è stato adibito alla sala della bottaia dove sono disposti lo stoccaggio delle vecchie annate e le barrique di rovere francese vecchio, all’interno delle quali sta il nostro passito ad affinare: l’Albina. Le proprietà dei muri in roccia vulcanica, ovvero il basalto nero che si trova anche nel sottosuolo di Gambellara, mantengono i legni delle barrique elastici, consentendo una micro ossigenazione naturale del vino in affinamento al loro interno.

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Le tecniche naturali di appassimento dell’uva

L’appassimento dell’uva è una pratica vinicola volta alla produzione di vini dolci e passiti. 

Le prime tecniche di appassimento delle uve sembrano risalire addirittura a prima delle civiltà dell’antica Grecia. Sin dall’inizio, gli agricoltori intuirono che, grazie a questa pratica di disidratazione naturale dell’uva, si poteva ottenere una maggiore conservazione sia del frutto che, in un secondo momento, del vino. 

 

Il processo di appassimento dell’uva e le sue caratteristiche

Il processo di appassimento dell’acino comporta diverse conseguenze a livello visivo e organolettico. Le bacche subiscono un processo di imbrunimento e, oltre alla vivacità e alla brillantezza nel colore, perdono acqua e circa il 30-40% del peso originario. A livello chimico, le uve concentrano zuccheri, sostanze aromatiche, acidi organici e polifenoli.

Un elemento da non sottovalutare è l’importanza nella scelta delle uve destinate ad appassire. Le viti ideali per un buon appassimento presentano grappoli non troppo compatti e con uve perfettamente sane, altrimenti vi sarebbe il rischio di intaccare muffe agli acini adiacenti. 

 

Le diverse tecniche di appassimento dell’uva

Nell’ambiente biologico e biodinamico, le tecniche di appassimento che prevedono l’utilizzo di metodi naturali sono due: in pianta e naturale

Ne esiste poi una terza che ricorre all’appassimento forzato. Qui gli ambienti in cui giace l’uva ad appassire subiscono delle regolazioni artificiali su temperatura, umidità e ventilazione in base alle necessità. 

Focalizziamoci sui due metodi di appassimento naturali e andiamo a scoprirne le differenze.

 

1. L’appassimento dell’uva in pianta

Nel metodo di appassimento dell’uva in pianta menzioniamo la pratica della surmaturazione: le uve vengono lasciate sovra-maturare sulla vite, ritardando la raccolta di 10-30 giorni in base alla zona di produzione. Grazie alla vendemmia tardiva, l’uva procede con la maturazione, gli acini si rimpiccioliscono, aumenta il grado zuccherino e mutano le sostanze aromatiche. 

Nella vendemmia tardiva, con l’effetto di interventi climatici e altri fattori naturali, i grappoli potrebbero essere attaccati da una muffa nobile nota anche come Botrytis Cinerea. Si tratta di un fungo parassita che regala a questi vini botrizzati sfumature dal profumo intenso, conferendogli un particolare pregio e valore. 

In Italia, la tecnica della surmaturazione è molto diffusa nelle zone pugliesi.

Nei paesi più freddi, come in alcune zone della Germania e del Canada, possiamo incontrare un altro modello di appassimento in pianta, ma che prevede la raccolta dell’uva a inverno inoltrato. In questo caso parleremo di Ice wines o di Vin de Glace, dove il ghiaccio e il freddo intenso sono i protagonisti di questo metodo di appassimento. Le uve congelate vengono raccolte e, prima di essere pressate, viene rimosso lo strato di ghiaccio superficiale formatosi. L’acqua presente nella polpa, risultando parzialmente congelata, durante la fase della pressatura consentirà al mosto di rimanere molto concentrato.

Gli Ice wines appartengono alla categoria dei vini dolci per la maggiore concentrazione degli zuccheri. 

 

2. L’appassimento dell’uva naturale

La seconda tecnica di appassimento che conduce alla produzione di vini dolci passiti o di particolare carattere, è quella naturale. Per questa tecnica vengono selezionate le uve sane raccolte durante la prima vendemmia, dalla scorza non troppo delicata perché faciliterebbe la comparsa della muffa. Questo tipo di uva viene chiamata anche uva non climaterica, perché nel momento in cui viene staccata dalla pianta non procede con la maturazione, al contrario mantiene un buon livello di acidità che regalerà ai vini maggiore freschezza.

A livello organolettico, il fenomeno di concentrazione degli zuccheri è dovuto alla diminuzione dell’acqua che abbandona gli acini per evaporazione. Gli zuccheri infatti sono maggiormente concentrati in relazione alla quantità di liquidi rimasti negli acini. 

I due metodi di disposizione dei grappoli

Dopo la raccolta e la selezione, i grappoli possono essere disposti orizzontalmente o verticalmente:

  • Nel primo caso vengono distesi su dei graticci, stuoie di canna, cassette o reti di metallo. L’asciugatura delle uve avverrà grazie al calore del sole, se vengono poste in un ambiente esterno, oppure per via della ventilazione, se invece vengono posizionate all’interno di fruttai al riparo dalle intemperie;
  • Utilizzando invece il secondo metodo, che prevede la disposizione verticale, le uve vengono raggruppate con delle corde di nylon e appese su delle travi in una stanza ben ventilata.

La tecnica vinicola per l’appassimento dell’uva utilizzata nella cantina Menti

Noi di Menti adottiamo quest’ultima tecnica vinicola nella nostra cantina di Gambellara, ai piani più alti della nostra torre d’appassimento del ‘700. Questa tradizione che portiamo avanti da quattro generazioni si chiama Picaio Vicentino, proprio perché i grappoli dopo la raccolta vengono “picati” a mano con della gavetta e poi appesi.

Grazie a quest’ultimo metodo che sfrutta la disposizione verticale dei grappoli, noi della cantina Giovanni Menti riusciamo a regalare un valore aggiunto ai nostri vini.  

L’appassimento della Garganega ci consente di trarne molteplici utilizzi, tra cui la produzione di alcuni vini da dessert intensi e genuini, come il Dolce della Tradizione e Albina, oppure di conferire maggiore carattere allo spumante Omomorto ed al vino frizzante Roncaie, grazie all’utilizzo del mosto di passito per la rifermentazione. Infine, ci consente di dare vita a delle vere e proprie unicità come il Vin de Granaro, il nostro vino balsamico.

Puoi trovarli tutti nel nostro shop online.

Come proteggere la vigna dalla grandine

La grandine è un fenomeno atmosferico che si genera in una particolare condizione atmosferica, molto variabile nel tempo e in base alla posizione geografica. Sappiamo che la grandine si presenta sotto forma di chicchi di dimensioni differenti, che talvolta non recano danni, ma che in altre situazioni possono persino danneggiare auto, abitazioni o ferire le persone. 

Il settore più esposto ai danni della grandine è di certo l’agricoltura, che può avere perdite ingenti nel raccolto sia a breve che a lungo termine. In particolare, un fenomeno avverso come la grandine può colpire in modo grave la vite – una pianta tra le più sensibili e tra le prime a soffrire dei cambiamenti climatici – mettendo a rischio non solo la salute del vigneto e dell’azienda produttrice, ma anche del suo territorio.  

Di seguito illustreremo quali possono essere i problemi in un vigneto dopo una grandinata e vedremo qual è il metodo più efficace per proteggere la vigna dalla grandine.

 

Quali danni possono avere le viti dopo una grandinata?

In base all’intensità della grandinata si possono avere dei danni differenti nei vigneti: 

  • Ai tralci, che possono essere lesionati o persino troncati;
  • Alle gemme, la cui lesione porta persino a non germogliare l’anno successivo;
  • Ai grappoli, che possono essere danneggiati in fase precoce; durante la fase di maturazione o quando l’uva è già matura, quando i grappoli sono danneggiati possono essere più esposti a malattie, come la carie bianca che può penetrare nelle ferite;
  • Alle foglie, che possono recuperare con facilità se si trovano all’inizio della loro fase vegetativa.  

Si è soliti classificare le grandinate in base al periodo dell’anno che coincide con diverse fasi della vite (chiamate anche fasi fenologiche), poiché in ogni stagione presenta degli sviluppi diversi. Proprio per questo, si parla di: 

  • Grandinate precocissime, se colpiscono la fase di germogliazione fino a metà maggio quando compaiono le prime gemme;
  • Grandinate precoci, dalla prefioritura alla fioritura della vite fino a metà giugno;
  • Grandinate estive, se colpiscono quando gli acini si stanno formando (fase che prende nome di allegagione) o quando gli acini hanno quasi completato la maturazione (invaiatura). In questo periodo, la vite è anche più esposta a malattie;
  • Grandinate tardive, se l’uva è matura e si è prossimi alla vendemmia. In questo periodo si rischia che i grappoli quasi maturi e gonfi d’acqua marciscano o sviluppino una muffa grigia chiamata botrite, che andrà a compromettere la qualità del prodotto finale.

Specifichiamo che dopo un controllo nel vigneto, se i danni sembrano limitati, la vite subisce comunque un rallentamento dell’attività vegetativa, entrando in una condizione di sofferenza che può compromettere anche i raccolti degli anni successivi.

In vigna dopo la grandine: come intervenire? 

La vite ha bisogno di cure immediate e di trattamenti specifici dopo la grandine per evitare ulteriori danni. Come accade per le ferite di una persona, anche le ferite da grandine della vite devono essere disinfettate con dei prodotti specifici. Per la vite occorrono dei trattamenti con sali di rame e zolfo, da ripetere anche nei giorni successivi alla grandinata per evitare che muffe e funghi nocivi entrino nella vite. 

Un altro intervento utile in vigna è la potatura dei tralci grandinati, togliendo solo le parti più danneggiate. Tuttavia, bisogna fare attenzione alle condizioni: la potatura deve avvenire in maniera tempestiva e solamente se il danno sui grappoli è superiore al 90%. Proprio per questo altre scuole di pensiero, lasciano che sia la natura a fare il suo corso e attendere che la vigna  recuperi da sola, senza alcun intervento di potatura. La natura infatti spesso fa il suo corso senza l’aiuto dell’essere umano: quasi tutte le viti possono riprendersi tra i 10 e i 15 giorni!

Tra gli interventi dopo una grandinata in vigna, si potrebbe pensare anche di concimare le viti per un recupero più rapido. In realtà, in questi casi le viti presentano delle esigenze nutritive inferiori, quindi una concimazione risulterebbe irrilevante.  

 

Le reti antigrandine

Come recita un famoso detto popolare, prevenire è meglio che curare. Infatti, in vigna si possono adottare delle soluzioni per prevenire i danni da grandine, come le reti antigrandine che sono utilizzate nella protezione di vigneti (più in generale anche dei frutteti), da posizionare al di sopra delle viti. 

Le reti sono l’unico metodo efficace per proteggere il vigneto, poiché con la loro trama di fili sintetici bloccano eventuali chicchi di grandine, ma al tempo stesso garantiscono il giusto passaggio della luce solare, senza intralciare le cure in ogni periodo dell’anno, dalla crescita dei tralci alla potatura fino alla raccolta dell’uva.

La testimonianza sull’efficacia delle reti antigrandine in vigna viene dalla Francia – più di preciso dalla Borgogna – che ha visto il 90% di danni in meno alle viti protette con le apposite reti. 

In ultimo, ma non per importanza, le reti antigrandine sono un aiuto alla coltivazione sostenibile poiché proteggendo le viti da eventuali danni, non richiedono l’intervento di disinfettanti e ulteriori prodotti chimici per la cura.

Proteggere la vigna dalle gelate

In questo periodo, la gelata dei vigneti è una problematica molto sentita da chi si occupa di coltivare un frutto così delicato come l’uva. Come sappiamo, che si tratti del gelo invernale o delle gelate tardive della vite in primavera, il freddo intenso rovina le piante e le temperature al di sotto degli 0°C accentuano il rischio di disseccamento dei germogli in accrescimento e delle infiorescenze

Alcune accortezze per proteggere la vigna dalle gelate possono  preservare le parti aeree della pianta e soprattutto le sue radici. Il congelamento delle prime, infatti, può causare la perdita del raccolto, ma il danneggiamento delle radici compromette il cespuglio in modo irreversibile, determinando la morte della vite.

Per risolvere il problema delle vite gelate è possibile utilizzare alcuni accorgimenti e mettere le nostre coltivazioni al riparo dal freddo.

Vediamo quali tecniche antigelo per i vigneti possiamo adottare.

 

Come proteggere la vite dal gelo

La vite è una pianta molto vulnerabile soprattutto in primavera e in autunno, durante il ciclo vegetativo e riproduttivo. Valori di temperatura inferiori a -3°C durante la fase di germogliamento sono dannosi e possono causare gravi danni alla pianta, compromettendo lo sviluppo delle gemme e danneggiando il raccolto. È quindi necessario capire come proteggere la vite dal gelo invernale, ma anche dalle gelate primaverili di ritorno, quando le colture si trovano nel momento della fioritura o della ripresa vegetativa. 

Tra le tecniche di difesa della vigna, ce ne sono alcune più costose e altre meno dispendiose. Tra le prime metodologie antigelo per i vigneti ci sono: l’utilizzo di falò, l’impiego di ventilatori posti al di sopra delle chiome e l’irrigazione antibrina sovrachioma.

Analizziamole più da vicino.

 

I falò per evitare la gelata dei vigneti

Per proteggere le vigne possono essere utilizzati piccoli falò, accesi in varie posizioni del vigneto. In questo caso, si predilige l’utilizzo della paglia, un materiale che brucia molto lentamente senza produrre una fiamma troppo grande e difficile da gestire, da cui si origina una nebbiolina che crea una cappa sopra il vigneto.

In questo modo, non cade l’umidità sulla vigna, sulle piante e sul terreno, e si mantiene un ambiente più caldo e confortevole per la sopravvivenza delle viti.

L’irrigazione antibrina per proteggere le viti dal gelo

L’acqua che gela cede calore all’ambiente circostante, ed è proprio questo meccanismo che consente di sfruttare gli irrigatori che distribuiscono acqua sulla vite, durante le gelate. Una volta congelata, l’acqua ricopre la vite e i suoi frutti con strati di ghiaccio che cedono calore ed energia all’uva, mantenendo la sua temperatura attorno allo zero.

 

I ventilatori o miscelatori d’aria come antigelo per il vigneto

Si tratta di mezzi dinamici posti in prossimità del vigneto con l’obiettivo di “rimescolare l’aria”. Questa tecnica si basa sul principio dell’inversione termica: i ventilatori spingono verso il basso l’aria calda e impediscono a quella fredda di stratificarsi vicino al suolo, alzando la temperatura e garantendo la sopravvivenza dei vigneti.

 

Scelta del terreno e della tipologia di uva

Tra le tecniche per proteggere la vite dal gelo, si parla anche di difesa passiva, legata alle pratiche base svolte in agricoltura per cercare di combattere una gelata. Tra queste, la scelta del luogo giusto in cui coltivare e della varietà di uva da piantare, insieme al controllo attento delle condizioni meteorologiche, sono variabili fondamentali per la buona riuscita del raccolto.

Si tratta innanzitutto di scegliere le “cultivar” con maggiore resistenza alle basse temperature o peculiarità che le rendono facilmente adattabili al clima, senza trascurare la qualità finale del raccolto. E poi di campionare porzioni di terreno per comprenderne le caratteristiche: tipologia, mineralità, impasto, e individuare le aree geografiche più soggette alle gelate negli anni.

Vien da sé che questo processo di selezione della qualità di uva, di analisi del terreno e dell’area geografica richiede competenze avanzate e studi molto approfonditi.

 

Antigelo per i vigneti: materiali per il riparo dell’uva

Quando si sceglie come riparare la vigna dal gelo è necessario identificare un materiale di copertura il cui utilizzo e smaltimento non provochino un impatto negativo sull’ambiente.

Per il ricovero del vigneto possono essere utilizzati materiali naturali o materiali di rivestimento artificiali:

  • foglie cadute;
  • rami di pino;
  • foglie di canna;
  • cartone;
  • ardesia;
  • pellicola opaca;
  • spunbond, un tessuto non tessuto in polipropilene che aiuta a proteggere dal congelamento e riduce la necessità di utilizzare pesticidi;
  • panno di vetro, ecc.

Per l’utilizzo di materiali naturali attraverso cui proteggere la vigna dalle gelate, vi sono due tecniche ben precise: riparo della vigna con terra e riparo asciutto per il vino.

 

Riparo della vigna con terra

Il riparo della vigna con la terra prevede alcune sequenze di operazioni:

  1. La vite viene adattata su uno strato sottile di fieno, paglia e rami di pini;
  2. Sulla vite viene posato un materiale resistente all’umidità: pellicola, pezzi di ardesia, feltro per tetti, sacchetti di zucchero, farina, ecc.
  3. Sul materiale resistente all’umidità viene gettata della terra, con uno strato di 10-30 cm, a seconda della resistenza al gelo della pianta.

 

Riparo asciutto per il vino

Il riparo asciutto per il vino prevede le seguenti operazioni:

  1. La vite, fissata al terreno con morsetti metallici, viene disposta sopra uno strato sottile (circa 10 cm) di paglia, fieno, erba, rami;
  2. Il materiale isolante viene applicato sopra la pianta con uno strato di 15-20 cm;
  3. Sopra il vigneto, su archi, si dispone una cupola a forma di serra realizzata con una pellicola opaca (o spunbond) e fibra di vetro.

Che si tratti del freddo invernale, o delle gelate primaverili tardive, oltre che di modelli previsionali e sistemi meteorologici, oggi i produttori possono avvalersi di materiali e tecniche che permettono di organizzare interventi sempre più tempestivi ed efficaci per la protezione e la sopravvivenza del vigneto.

Nelle fantastiche colline vulcaniche di Gambellara, il problema è poco sentito, in quanto l’anfiteatro naturale del paese protegge dalle temperature troppo basse. Solo la zona di pianura è quella più a rischio dove noi di Menti abbiamo il vigneto Roncaie che dà vita all’omonimo vino.

Il nostro metodo per evitare i danni da gelata è quello di fare la potatura a Roncaie il più tardi possibile, arrivando in primavera così da evitare con alta probabilità un ritorno di freddo.

Le fasi di pigiatura dell’uva

L’uva vuol dire il buono, il bello, il tanto scriveva il poeta Giovanni Pascoli nella sua poesia Vendemmia, ed è proprio dalla bontà dell’uva quando matura che inizia la magia per realizzare un buon vino.

Se la materia prima è importante per realizzare un ottimo prodotto finale, ogni fase di produzione e lavorazione dell’uva è determinante, poiché ciascuna influisce sul risultato e sul gusto finale. Tra le primissime fasi di lavorazione c’è proprio la pigiatura di cui parleremo in questo articolo.

 

Che cos’è la fase di pigiatura e a cosa serve 

Chi ama i film o ha vissuto negli anni Ottanta, probabilmente avrà presente la scena di Adriano Celentano che ne Il Bisbetico domato pesta l’uva con i piedi a ritmo del battito delle mani. Decisamente più affollato è il recipiente in legno pieno d’uva in un altro film, Il profumo del mosto selvatico del 1995. 

In entrambe le scene, è rappresentata la pigiatura che veniva effettuata a piedi nudi pestando l’uva contenuta in appositi contenitori di legno. 

Oggi, la stessa azione meccanica dei piedi sull’uva è data dalle pigiatrici, delle apposite macchine che si compongono di una coppia di rulli, il cui compito è schiacciare delicatamente gli acini, per estrarre il succo che diventerà il vino. I rulli non vanno a intaccare le parti solide del grappolo che potrebbero conferire successivamente delle note acidule al vino. Ciò che si ottiene da questa lavorazione si chiama il pigiato, composto da parti liquide e parti solide. 

Per una buona qualità del vino, è importante iniziare la fase di pigiatura subito dopo la vendemmia o al massimo entro 12 ore dalla raccolta per evitare che gli acini inizino la macerazione e si formi acido acetico.

Questi sono degli accorgimenti importanti, ma la pigiatura può avere delle fasi diverse in base alla tipologia di vino che bisognerà produrre. Per il vino rosso è prevista la fermentazione del pigiato-diraspato. Ciò vuol dire che si effettua la diraspatura, per evitare che i raspi (la parte legnosa del grappolo) rilascino troppe sostanze astringenti come i tannini verdi. Successivamente si lascia fermentare insieme alle vinacce (le bucce) e in un secondo momento le vinacce fermentate vengono pressate. 

Per la produzione di vino bianco si utilizza una pigiatura soffice, delicata e non troppo aggressiva, e per separare il mosto dalle vinacce, in modo da poter fare la fermentazione senza il contatto con le bucce, ottenendo vini più eleganti e meno astringenti.

 

Pigiatura, pressatura e diraspatura: facciamo chiarezza 

Abbiamo accennato finora a termini come raspi, diraspatura e pressatura, che spesso vengono usati come sinonimi, ma che in realtà sono delle fasi distinte durante il processo di lavorazione dell’uva. Di seguito, facciamo chiarezza su ogni fase e sulle differenze con la pigiatura. 

La fase di diraspatura serve a separare gli acini dai raspi, per favorire la fuoriuscita del mosto ed evitare che i raspi rilascino delle sostanze all’interno del mosto, come tannini che conferiranno al vino un gusto più astringente. Questa operazione è svolta da apposite macchine (le diraspatrici), che svolgono il lavoro in modo delicato, molto importante per non compromettere la qualità delle uve e ottenere dei vini più equilibrati e meno acidi. 

Infatti, bisogna ricordare che questa fase non sempre viene effettuata perché molto dipende anche dal vino che si vuole ottenere. Per esempio, se si vuole ricavare un vino bianco o un vino spumante è consigliato eliminare i raspi, mentre per una vinificazione in rosso possono essere conservati. 

Infine, abbiamo la pressatura che spesso viene confusa con il termine pigiatura, ma che invece è una fase successiva alla pigiatura e consiste nella pressione, nello schiacciamento ulteriore della vinaccia (le uve già pigiate) in modo da far fuoriuscire il liquido o mosto residuo nelle bucce. Alla pressatura seguirà la fase di fermentazione.

 

Dunque, quali sono le differenze tra pigiatura e diraspatura?

Sono fasi ben distinte, poiché durante la diraspatura si separano gli acini dai raspi (la parte legnosa del grappolo), mentre durante la pigiatura si estrae il succo dagli acini. Tuttavia, esiste anche un’apposita macchina che unisce le due fasi: la pigiadiraspatrice che permette di ottimizzare i tempi di lavorazione delle uve. 

 

Quali sono le differenze tra pigiatura e pressatura?

La differenza sostanziale tra le due fasi è che la pigiatura avviene subito dopo la vendemmia (o entro 12 ore dalla raccolta) e interessa la lavorazione delle uve intere; la pressatura interessa la lavorazione di uve già pigiate (il pigato) come le vinacce e può avvenire subito dopo la pigiatura, come accade per i vini bianchi, o dopo la fermentazione, nel caso dei vini rossi.

 

Scopri il mondo dell’agricoltura biodinamica

Ciò che abbiamo raccontato fin qui è solo una minima parte del processo utile per ottenere un vino buono, di qualità. Se desideri soddisfare la curiosità sulla produzione del vino, vieni a trovarci per una degustazione e un’esperienza da vivere in cantina.

Una scoperta nel mondo del vino e dell’agricoltura biodinamica, con i suoi principi e i suoi obiettivi insieme alle tecniche utilizzate come l’agroforesty. Per un percorso didattico da trascorrere in piacevole compagnia che si snoda tra enologia, agricoltura biodinamica e gusto.

Gambellara: territorio d’eccellenza per il vino da agricoltura biodinamica

I territori di Gambellara si estendono fra Vicenza e Verona, in un’area ricca di colline che offrono ai vigneti ottime esposizioni al sole e alle brezze.

Luce e correnti d’aria sono fondamentali anche per salvaguardare i vigneti collinari dalle gelate che possono minacciare la produzione durante i primi mesi dell’anno e per garantire la maturazione perfetta delle uve nei mesi più caldi.

La peculiarità principale di queste zone, sta nella composizione del suolo: le colline, infatti, derivano dall’attività di antichi vulcani, oggi spenti. Per questo motivo la terra dove crescono i vigneti è ricca di tufo e basalto.

Questa particolarità dà origine a un terreno perfetto per la coltivazione di vini. Il comune è, infatti, una delle eccellenze nella produzione enologica di vini bianchi e da dessert.  

 

Il suolo vulcanico

La peculiarità del suolo di Gambellara è la presenza di basalto in grandi quantità. 

Ma cos’è il basalto? Si tratta di pietre dalla forma esagonale o triangolare fuoriuscite da una bocca secondaria di un vulcano. 

Questo tipo di pietra è stata utilizzata per anni nella costruzione delle massicciate delle ferrovie, per questo si è assistito a decenni di sfruttamento e deturpazione delle colline stesse. 

Oggi è il motivo per cui i vini di questo territorio sono così importanti e pregiati e perché questa terra è perfetta per le produzioni biologiche e biodinamiche

Inoltre, questa conformazione del suolo tanto particolare e ricca di nutrimenti e minerali, ci permette di ridurre la necessità di acqua per la fase di irrigazione dei filari. 

Se un tempo questi terreni venivano depredati e deturpati dall’utilizzo smodato del basalto, oggi vengono preservati e diventano la sede per vigneti in grado di produrre vini dal bouquet fragrante.

 

basalto

 

Agricoltura biodinamica

La naturale fertilità dei terreni trae beneficio dai metodi biodinamici che utilizziamo nella produzione dei vini Menti.

Così come le produzioni biologiche, anche le coltivazioni biodinamiche puntano alla tutela del terreno e delle coltivazioni nella maniera più naturale possibile. 

Entrambe le tecniche agricole nascono con lo scopo di preservare la fertilità del terreno. Non vengono utilizzati prodotti chimici che potrebbero, nel tempo, portare all’impoverimento dei terreni o all’inquinamento degli stessi e la materia organica della terra viene in questo modo preservata evitandone l’erosione. Questi tipi di agricoltura puntano a preservare gli equilibri e le biodiversità dell’ambiente riducendo al minimo l’impatto della produzione agricola.

Se l’agricoltura biologica si ferma a questi concetti la biodinamica va oltre: segue metodi che puntano all’utilizzo del suolo nel rispetto dei cicli e dei ritmi naturali per sfruttare al meglio le energie da essi rilasciate. La biodinamica punta al rispetto dell’ecosistema nella sua totalità: viene quindi preservata la fertilità del terreno con l’uso esclusivo di sostanze naturali, spesso prodotte all’interno dei filari stessi.  

E il terreno della zona di Gambellara, naturalmente ricco di sostanze nutritive, ci permette di applicare tecniche tipiche della biodinamica  come la pratica del sovescio, che utilizza le naturali proprietà delle sementi piantate annualmente tra i filari per incrementare le sostanze nutritive nel suolo. 

Solo così riusciamo a ottenere uve della massima qualità con cui produrre i nostri vini.

 

I vini della Gambellara 

Su questi terreni impervi sono nati numerosi vigneti, alcuni seguono tecniche produttive innovative e nel rispetto dell’ambiente. 

Le tipologie di vini prodotti sono:

  • Gambellara
  • Recioto di Gambellara
  • Gambellara Vin Santo

Sono tutti vini D.O.C conosciuti e apprezzati, vini di spessore arricchiti dai sali e dai minerali presenti nel terreno nero e roccioso. 

La nostra produzione di vini biodinamici ne arricchisce la scelta con una produzione interamente naturale e prodotti rispettosi delle necessità dell’uomo e dell’intero ecosistema nel quale si inseriscono. 

 

Visitare i luoghi di Gambellara

Il turismo enogastronomico è sempre più diffuso e praticato anche in Italia. 

Visitare i luoghi d’origine di pietanze e bevande e gustarne i sapori in loco significa essere parte di un viaggio che porta a una conoscenza approfondita della cultura e della popolazione locale.

Per questo motivo ti consigliamo una visita ai territori della Gambellara: nella nostra cantina riceverai un’accoglienza ricca di cordialità e professionalità e potrai gustare l’intenso sapore dei vini bianchi da produzione biodinamica di Menti.

irrigazione

Irrigazione dei vigneti: l’uso razionale dell’acqua

Con l’avvento della stagione estiva 2022, i media nazionali hanno acceso i riflettori su un problema impossibile da ignorare. La scarsità delle riserve idriche, causata da un inverno eccezionalmente poco piovoso, sta spingendo vasti territori italiani in una situazione di siccità che in rare occasioni si è registrata in passato.

Questo ci sta portando a prendere consapevolezza del fatto che l’acqua è sì un bene primario, ma anche e purtroppo una risorsa naturale in esaurimento.

Il tema è molto ampio e impatta tutti gli ambiti della nostra vita. L’uso razionale dell’acqua in ogni settore è diventato uno dei temi fondamentali, che con ogni probabilità ci porteremo avanti per diversi anni.

Il settore dell’agricoltura, inclusa ovviamente anche la viticoltura, è uno dei campi che risente di più della scarsità di piogge e della sofferenza delle risorse idriche naturali. Va da sé che le poche precipitazioni hanno impoverito i fiumi, il livello dei bacini acquiferi è al minimo in diverse Regioni, e quindi provvedere con costanza all’irrigazione dei vigneti è diventata impresa ardua.

 

L’irrigazione dei vigneti: due teorie contrapposte

Durante tutto il processo di produzione del vino, che parte dai filari dei vigneti fino ad arrivare alla nostra tavola, l’acqua non rappresenta solo una risorsa necessaria alla sopravvivenza della vite. Infatti, l’apporto e la qualità dell’acqua usata per irrigare ogni vigneto può essere uno degli elementi che vanno a influenzare il sapore e la qualità del prodotto finale.

Partiamo da un presupposto importante, ovvero che la vite è per sua natura una pianta che tollera senza grossi problemi la scarsa disponibilità di acqua.

Inoltre, anche il sistema di coltivazione ad alberello aiuta non poco: questo genere di architettura della vegetazione favorisce un’efficiente attività fisiologica e il bilancio energetico della pianta, risultando efficace in ambienti nei quali l’irrigazione dei vigneti deve essere fatta razionando l’acqua.

Al contempo, questo sistema di coltivazione limita l’insorgere di patologie e garantisce un’elevata qualità dell’uva, una maggiore ricchezza in polifenoli e in tutte quelle componenti organolettiche che conferiscono carattere al nostro vino.

Questi presupposti hanno dato vita a due scuole di pensiero sul tema dell’irrigazione dei vigneti. L’argomento è molto dibattuto, e vede appunto contrapposti due fronti con idee diametralmente opposte a riguardo.

Il fatto che la pianta della vite non necessiti di grandi quantitativi di acqua, ha portato alcuni a sostenere che il protrarsi di alcuni periodi di stress idrico subiti dalla pianta in realtà non influiscono sensibilmente sulla produzione.

Questa teoria non incontra però il favore di tutti: molti viticoltori invece ritengono che un’irrigazione costante, anche se minima, sia indispensabile per assicurare la buona qualità delle uve. Prolungati periodi di stress idrico possono influire sulla produzione e sulle qualità organolettiche delle bacche, con conseguenti ripercussioni sulla qualità del prodotto finale.

 

Come abbiamo già scritto, se da una parte l’acqua è una risorsa primaria e come tale deve essere preservata, dall’altra un prolungato non utilizzo potrebbe creare problemi a un intero comparto produttivo come il settore vinicolo.

Verso nuove forme di agricoltura sostenibile

Alla luce della crescente scarsità delle risorse idriche, l’agricoltura dovrà necessariamente adeguarsi e trovare nuovi metodi di produzione, approcciandosi in maniera razionale allo sfruttamento delle risorse naturali disponibili, per ottenere il migliore risultato possibile.

Ma come possiamo preservare le nostre riserve idriche, razionando l’uso dell’acqua? Un grande aiuto ci viene dal progresso tecnologico, che porta costantemente a migliorie e ci permette di avere impianti di irrigazione sempre più moderni, che consentono di limitare gli sprechi di acqua.

Un esempio lo troviamo nell’impianto di micro-irrigazione a goccia ad alta uniformità, un sistema di irrigazione dei vigneti in cui l’uso dell’acqua viene apportato in maniera misurata ma costante, consentendo alla vite di crescere e maturare senza l’eccesso di stress che potrebbe essere causato da lunghi periodi di siccità.

Attraverso il monitoraggio costante dello stress idrico, è possibile andare a modificare ed equilibrare il dosaggio dell’acqua, arrivando a una calibratura ideale.

Molto importante è anche la coltivazione di uve autoctone, ovvero uve del territorio che nel tempo si sono adattate all’ambiente e che sono quindi ben predisposte al clima e alla quantità idrica naturalmente presente nel terreno. La coltivazione di vigneti da viti autoctone garantisce la possibilità di un raccolto sano e copioso, assicurando un basso impatto sulle risorse del territorio.

Il rispetto della natura attraverso la conoscenza del terreno, dei suoi prodotti e dell’ambiente circostante appare come fondamentale per realizzare sistemi d’irrigazione dei vigneti performanti.

Alla luce di tutto questo sempre più aziende optano, come noi di Menti, per forme di agricoltura biologica o biodinamica. Aziende che fanno della conoscenza e del rispetto per il territorio materie fondanti per la realizzazione di prodotti buoni che non impoveriscono le risorse, ma costituiscono nutrimento.

 

irrigazione-vigna

 

L’impegno di Menti sull’irrigazione in vigna

Da parte nostra, anche in situazioni di carenza idrica estremamente grave come quella attuale, abbiamo scelto di non irrigare i nostri vigneti, preservando le risorse idriche.

Abbiamo avuto la possibilità di prendere questo impegno con l’ambiente e il territorio aiutati anche dal nostro suolo, ricco di materia organica data dall’agricoltura biodinamica.

Inoltre, non irrigando i vigneti spingiamo le radici delle piante a ricercare l’umidità in profondità, fra le pietre vulcaniche di Gambellara: questo consente alla vigna di assorbire dal suolo la mineralità unica che ritroviamo poi nei nostri vini.

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